Risarcimento danni legge Pinto2023-07-09T02:17:10+02:00
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Risarcimento danni legge Pinto: equa riparazione al cittadino per l’irragionevole durata del processo. Tutto quello che dovresti sapere

Il risarcimento danni legge Pinto permette ai cittadini danneggiati dall’eccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale di ottenere un indennizzo per i danni subiti.

Gestione Crediti Pubblici, che è specializzata in materia, vuole informare i cittadini riguardo ai propri diritti e assisterli nel farli valere innanzi ai Tribunali competenti.

Cos’è e come funziona la Legge Pinto

Prima di parlare degli aspetti più concreti, come ad esempio, secondo la legge Pinto chi paga l’indennizzo al cittadino e come muoversi per ottenerlo, è importante sapere in cosa essa consiste e per quale motivo è stata emanata.

Questa legge è stata approvata il 24 marzo del 2001 per perseguire due obiettivi.

  • Il primo è quello di dare impulso a una riduzione della durata dei processi giudiziali, i quali si contraddistinguevano per essere i più lunghi a livello europeo.
  • Il secondo, strettamente legato al precedente, è quello di offrire al cittadino un’apposita procedura per ottenere il risarcimento dei danni subiti proprio a causa delle lungaggini del processo in cui è stato coinvolto.

Lo scopo della legge Pinto è dunque quella di velocizzare un sistema giudiziale che ormai da troppo tempo obbliga i cittadini a dover attendere molti anni per ottenere giustizia; aspetto che ha disincentivato molte persone a far valere i propri diritti e che si è anche rivelato un limite agli investimenti in Italia da parte d’imprese estere.

Andiamo dunque al sodo e rispondiamo alla prima domanda fondamentale: a quanto tempo corrisponde, secondo la legge pinto, l’irragionevole durata del processo?

legge pinto equa riparazione

L’eccessiva durata dei processi: i numeri

Legge pinto i numeri

Come si diceva in precedenza, in Italia siamo ormai abituati a dei processi estremamente lunghi, pertanto può risultare complicato al cittadino quantificare cosa si intende per “irragionevole durata del processo”. Ebbene, su questo punto è la stessa legge a darci una risposta, poiché all’art. 2 definisce per quanti anni debba durare il processo per rientrare in tale definizione e quindi affinché il cittadino possa richiedere un indennizzo.

Volendo schematizzare, questa è la durata massima tollerata per il processo:

  • procedimenti di primo grado, 3 anni;
  • procedimenti di secondo grado, 2 anni;
  • per il giudizio di legittimità, 1 anno;
  • procedimenti di esecuzione forzata, 3 anni;
  • procedure concorsuali, 6 anni.

Il legislatore ha voluto stabilire delle durate diverse a seconda della tipologia di procedimento e del grado di giudizio. Questa scelta si basa su di una logica condivisibile poiché, ad esempio, mentre nel procedimento di primo grado il processo si compone di una fase chiamata “istruttoria” — nella quale vengono raccolte le prove a sostegno della domanda e della difesa delle parti coinvolte —,  nel secondo grado del processo non è possibile (tranne in casi eccezionali) raccogliere ulteriori prove. Proprio per questo è condivisibile che per il primo grado venga prevista una tempistica “massima” maggiore rispetto a quella del secondo grado.

Per completezza va però fatta un’ultima precisazione di cui spesso ci si dimentica ma che risulta essere molto importante.

Una delle condizioni per richiedere l'indennizzo
Gli esperti del settore, come Gestione Crediti Pubblici, sanno infatti che la legge prevede un’ulteriore condizione: affinché il cittadino possa richiedere l’indennizzo è necessario che l’intero processo abbia una durata superiore ai 6 anni. Tecnicamente, quindi, la durata è rispettata se si giunge ad un giudizio definitivo entro i sei anni. Un esempio sarà di aiuto.
durata processo legge pinto

Se ci rivolgiamo a un Tribunale per ottenere il risarcimento derivato da un incidente in automobile e il processo di primo grado durasse 4 anni, avremmo superato il termine dei 3 anni di massima lunghezza del processo. Ciò nonostante, se la nostra controparte non promuovere l’appello, e quindi il processo non passa al secondo grado ma si conclude al primo, il giudizio diventa definitivo. In tal caso, dunque, la durata totale del processo al quale siamo stati sottoposti sarà stata inferiore ai 6 anni e quindi ci sarà precluso ai sensi della legge Pinto riscuotere il nostro indennizzo.

Infine, va detto che per ottenere ai sensi della legge Pinto un’equa riparazione, il fatto che il processo ecceda la durata sopra indicata è il presupposto fondamentale ma non è di per sé sufficiente. È infatti necessario che la persona che si sente danneggiata dimostri di avere effettivamente subito un danno a causa dei lunghi tempi della giustizia.

Passiamo quindi alle caratteristiche del danno subito per ottenere l’indennizzo.

Risarcimento danni legge Pinto: indennizzo e caratteristiche del danno subito

Come ogni procedimento per ottenere il risarcimento del danno subito, anche secondo la legge Pinto l’equa riparazione può essere ottenuta a una condizione: che si sia veramente subito un danno a causa delle lungaggini del processo.

Questo requisito è ovviamente necessario, altrimenti il cittadino potrebbe ricevere un indennizzo per il solo fatto che il procedimento ha avuto una durata eccessiva ma senza esserne stato realmente pregiudicato.

In ogni caso, il danno subito può essere sia di carattere patrimoniale che non patrimoniale, l’importante è che vi sia un nesso di causalità tra questo e la durata del processo. Nel concreto bisognerà quindi dimostrare che la persona ha subito un danno la cui causa è esattamente l’eccessiva durata del procedimento.

Legge pinto durata processi

Una precisazione importante: affinché venga riconosciuto un nesso causale tra il danno subito e l’eccessiva durata del processo si deve anche dimostrare di aver adottato i rimedi preventivi legalmente previsti.

Nel concreto significa che l’ordinamento offre delle soluzioni per ottenere dei processi più rapidi, ad esempio il rito sommario nel procedimento civile. In questo senso, per richiedere l’indennizzo va dimostrato che il cittadino, per tramite del suo avvocato, abbia optato per tali procedimenti più celeri e che, nonostante ciò, la durata del processo si è protratta eccessivamente.

Sempre in tema di rimedi preventivi va però sottolineato che la circostanza che il ricorrente non abbia scelto i rimedi “più rapidi” non è di per sé una barriera insuperabile quando si ritiene di essere stati pregiudicati dalla lunghezza del processo.

È infatti stato confermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 34/2019 che il non aver utilizzato un rimedio preventivo impedisce l’ottenimento dell’indennizzo solamente se non si riesce a dimostrare che quel rimedio preventivo, che normalmente avrebbe permesso al Tribunale di arrivare ad una decisione in modo più rapido, in quella specifica situazione avrebbe avuto quell’effetto.

Pagamenti legge Pinto: chi si occupa della liquidazione?

Questa è una domanda tipica che si pone il cittadino quando si trova ad avanzare una pretesa nei confronti dello stato, cioè colui che deve risarcire il danno subito; domanda più che legittima visto che promuovere un giudizio contro lo Stato può apparire come un concetto astratto viste le tante articolazioni dello Stato moderno.

Ebbene, chi paga ai sensi della legge Pinto è il Ministero della Giustizia , in quanto rappresenta il dicastero del governo che è preposto all’organizzazione dl amministrazione giudiziaria statale. In questo senso, se ci si affida a Gestione Crediti Pubblici, verrà proposta un’azione volta ad ottenere l’indennizzo del danno subiti proprio nei confronti del Ministero della Giustizia.

Legge Pinto: perché lo Stato ha approvato questa legge?

Se ti stai informando sulla legge Pinto leggendo questo articolo, ti starai forse domandando per quale motivo lo Stato italiano ha approvato una legge che espone sé stesso all’eventualità di dovere indennizzare i cittadini per l’eccessiva durata dei processi.

La domanda è assolutamente lecita e particolarmente acuta e pertanto vogliamo dedicare qualche riga per dare una risposta.

Il motivo dell’emanazione della legge Pinto è la CEDU (Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali), una convenzione importantissima in tema di diritti umani che l’Italia ha firmato nel 1950.

La CEDU obbliga gli Stati firmatari a garantire i diritti in essa previsti a tutti i cittadini e tra tali diritti, all’art. 6, vi è proprio il diritto a un equo processo, il quale attribuisce il diritto alla giusta riparazione nel caso venga violato il ragionevole termine di durata del processo.

Prima dell’emanazione della legge Pinto, per fare valere tale diritto, era necessario che il cittadino ricorresse alla Corte di Strasburgo. Ora, proprio in virtù di questa legge, il cittadino può adire ai Tribunali italiani per fare valere il suo diritto a una ragionevole durata del processo.

Legge Pinto: ritardato pagamento indennizzo

Un ostacolo all’ottenimento dell’indennizzo da parte del cittadino che in talune situazioni si potrebbe verificare è quello dell’Amministrazione statale che, nonostante vi sia un decreto di condanna, non procede al pagamento dell’indennizzo.

Ovviamente l’Amministrazione non può esimersi dall’adempiere a quanto stabilito dal Tribunale nella sentenza di condanna; le decisioni dell’autorità giudiziaria valgono infatti tanto nei confronti del cittadino quando dell’Amministrazione.

Una sentenza del Tar della Campania n. 1098/2016 ha stabilito, al riguardo, che l’Amministrazione è obbligata a dare esecuzione al decreto, e cioè pagando in favore del ricorrente sia l’importo che è stato fissato dal Tribunale a titolo equa riparazione del danno, sia gli interessi e le spese processuali.

Questo deve essere adempiuto entro un termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza: nel caso in cui l’Amministrazione dovesse ritardare il pagamento dell’indennizzo oltre questo lasso di tempo, il Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) nomina un Commissario ad acta, cioè una figura che dovrà dare esecuzione al pagamento dell’indennizzo entro un termine massimo di 60 giorni.

I rimedi offerti dalla legge, dunque, non mancano se ci si affida a dei professionisti esperti del settore che sanno come gestire queste situazioni di ritardato pagamento dell’indennizzo della legge Pinto.

Legge Pinto: fare causa allo Stato

Per concludere riassumiamo i requisiti fondamentali per richiedere allo Stato, ai sensi della legge Pinto, un’equa riparazione del danno subito. A tal fine bisognerà dimostrare:

  1. che la durata del procedimento giudiziale ha superato la durata massima stabilita dalla legge pinto;
  2. l’avere adito ai rimedi preventivi legalmente previsti;
  3. la sussistenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale;
  4. il nesso di causalità tra procedimento giudiziale e danno subito.

Se si ritiene che il procedimento nel quale si è stati coinvolti ha avuto una durata irragionevolmente lunga e quindi per tale motivo si è subito un danno, è il momento di agire!

Per avviare tutte le pratiche è fondamentale farsi assistere da dei professionisti competenti, che sappiano analizzare quanto avvenuto e verificare se ci sono i presupposti per chiedere l’indennizzo.

Una breve ricostruzione delle vicende processuali e delle loro tempistiche oltre alla descrizione del danno che si ritiene di avere subito sono sufficienti per dare inizio all’iter legale; una volta ottenuto il conferimento di mandato abbiamo tutto ciò che ci serve per partire.

Noi, Gestione Crediti Pubblici, non chiediamo nessun anticipo di denaro da parte del cliente ed un’altissima percentuale di successo sono i punti di forza e la garanzia dell’operato.

La battaglia che hai deciso di intraprendere comincia da una consulenza gratuita.

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    FAQ

    La legge Pinto (Legge n. 89 del 24/03/2001) è la risposta effettiva agli esasperanti tempi processuali e prevede il diritto a un’equa riparazione del danno (patrimoniale e non patrimoniale) per tutti coloro che hanno subito un processo di durata eccessiva.

    Ogni cittadino che ha subito un giudizio (di Primo Grado, di Appello o di Cassazione) di durata eccessiva può richiedere il risarcimento del danno per eccessiva durata del processo entro sei mesi dalla conclusione dello stesso (dal momento in cui la sentenza è divenuta definitiva).

    Ogni cittadino che ha subito un giudizio (di Primo Grado, di Appello o di Cassazione) di durata eccessiva può richiedere il risarcimento del danno per eccessiva durata del processo entro sei mesi dalla conclusione dello stesso (dal momento in cui la sentenza è divenuta definitiva). Secondo la Legge 89/2001 – che ha fatto propri i parametri individuati dalla CEDU – si considera rispettato il termine ragionevole di durata se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità.

    Quando il Giudizio supera le tempistiche individuate dalla Legge scatta il diritto al risarcimento del danno.

    L’equa riparazione prevede il risarcimento di danni sia patrimoniali che non patrimoniali.

    In relazione ai primi, occorre dimostrare che il lungo iter processuale, di cui si lamenti l’eccessiva durata, abbia causato specifici danni al patrimonio (ad esempio, la perdita di reddito, ovvero l’impossibilità di acquisire proventi).

    Per quanto riguarda, invece, i danni non patrimoniali, la Corte di Cassazione si è adeguata alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale conferma che, in tema di equa riparazione, “ai sensi dell’art. 2, della Legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

    La Legge 89/2001 stabilisce che il giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo prima individuati.

    Un risarcimento danni diventa tassabile quando viene corrisposta un’indennità in sostituzione del reddito perduto. Pertanto, non essendo il caso in questione compreso in tale circostanza, i soldi percepiti a titolo di risarcimento danni non patrimoniali (ex art. 2, L. 89/2001), non fanno parte dell’imponibile fiscale.

    L’importo del risarcimento è compreso tra i 1000,00 e i 1500,00 € per anno di ritardo, quindi per ogni anno superiore al terzo si ha diritto a tale somma.

    Il risarcimento può essere chiesto durante il procedimento, quando questo è ancora in corso, o entro e non oltre 6 mesi da quando la sentenza è diventata definitiva.

    La notifica è una procedura speciale eseguita dall’ufficiale giudiziario su richiesta di parte, o attuata a mezzo del servizio postale con particolari modalità; tuttavia il nostro staff verificherà la sussistenza della notifica in relazione ad ogni singolo caso.

    Sì, l’esito del processo dalla durata irragionevole non influisce sulla richiesta di indennizzo.

    L’azione viene promossa contro il Ministero della Giustizia, in caso di processi ordinari, e contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze se si tratta di processi amministrativi o pensionistici.

    Generalmente, dal momento in cui è stato depositato il ricorso presso la competente Corte di Appello trascorre un anno circa prima di ricevere una pronuncia. Qualora tale pronuncia risultasse positiva, GCP provvederà immediatamente a notificare il decreto di accoglimento all’Amministrazione, la quale, per legge, avrà 120 giorni di tempo per corrispondere i soldi dovuti. Scaduti i 120 giorni, nel caso di mancato pagamento, avrà inizio la fase esecutiva (cioè, il pignoramento dei soldi detenuti dallo Stato nelle proprie concessionarie) la cui risoluzione avviene, solitamente, in 60 giorni circa.