Dipendente della Marina morto per amianto. Giudice Marco Viani condanna Ministero della Difesa
Dopo 5 anni dalla tragedia, il Giudice del Tribunale del Lavoro nella persona di Marco Viani ha condannato per comportamento colposo il Ministero della Difesa al versamento di oltre 100mila euro a titolo di risarcimento alla famiglia (moglie e due figli) di un uomo che, dopo un anno di sofferenze ed agonia, è morto nell’ottobre del 2017 a causa di mesotelioma pleurico, provocato dal contatto con amianto presso il luogo dove lavorava.
Facciamo un lungo passo indietro, attraversando un periodo di oltre trent’anni, dal 1958 al 1994.
L’uomo era un dipendente civile assunto come tuttofare presso la Maricommi di La Spezia. Ogni giorno si recava presso il panificio locale della Marina Militare dove, oltre a sfornare il pane, si occupava della manutenzione dei forni e delle caldaie.
Il Ministero all’epoca, nonostante si trovasse di fronte ad un ambiente insalubre e pericoloso che doveva essere sottoposto a particolari cautele, non si adoperò in nessun modo nell’adottare accorgimenti di alcun tipo per salvaguardare la salute dei dipendenti.
È stato appurato che il locale adibito a panificio era coibentato con amianto e che, per la manutenzione, occorreva entrare addirittura dentro il corpo del forno, coibentato con lo stesso materiale.
A distanza di anni si sono evidenziate delle responsabilità a carico del dicastero perché all’interno dell’ambiente di lavoro erano presenti grandi quantità di amianto, in particolare:
- nei pannelli;
- nei quadri elettrici;
- nelle canne fumarie;
- nelle guarnizioni delle caldaie;
Gli strumenti per la tutela della salute non erano adeguati dato che ci si limitava al semplice uso di guanti e occhiali protettivi; le testimonianze raccolte durante il dibattimento in aula hanno rafforzato ulteriormente questa tesi rivelando mancanze evidenti, come l’uso delle mascherine.
L’assenza di opportuni dispositivi di protezione individuale sono stati gli elementi di colpa che il Giudice Marco Viani ha ritenuto far emergere come uno dei punti cardine su cui far ruotare la responsabilità del procedimento a carico del Ministero della Difesa.
Il magistrato, ha infatti indicato con chiarezza come nessun accorgimento concreto, una mancanza di scelte in un quadro abbastanza chiaro, sia stato adottato dal dicastero per essere esente da colpe, essere dispensato da qualsiasi responsabilità, per salvaguardare sia la vita del dipendente che quella dei suoi colleghi.
Sarebbe stato opportuno e doveroso un intervento — almeno per rimuovere le polveri nocive — perché proprio quelle minuscole particelle di amianto avrebbero portato, prima a far ammalare l’uomo, e in seguito alla sua morte.
Il Ministero si è limitato a considerazioni astratte, indicando che nessun accorgimento fosse stato adottato perché a basse dosi, l’esposizione ad amianto, il rischio d’inalazione di particelle era da definirsi innocua come possibile agente patogeno in relazione ad un possibile mesotelioma.
Il triste epilogo
L’uomo giorno dopo giorno, vide aggravare il suo stato di salute. Nel dicembre 2016 una veloce corsa in ospedale presso il pronto soccorso diagnosticò la cosiddetta fame di aria o quella che in molti conoscono come dispnea.
Accertamenti clinici successivi al nosocomio ed opportune analisi portarono alla nefasta diagnosi di mesotelioma pleurico maligno. A seguito di tale patologia l’uomo è deceduto nell’ottobre del 2017.
Il Ministero, ha provato a svincolarsi dal ruolo di responsabile, tuttavia, con la sentenza emessa dal Tribunale del lavoro di La Spezia, il Giudice Marco Viani lo ha riconosciuto responsabile e come tale dovrà impegnarsi nel risarcimento del danno
Rimane pendente, con udienza fissata nel prossimo mese di settembre presso il tribunale di Genova, la vicenda connessa allo “iure proprio”. Proprio in questo caso, la richiesta del risarcimento è stata fissata ad un ammontare superiore al milione di Euro.
Il legale della famiglia, l’Avvocato Elisa Ferrarello ha commentato esprimendo grande soddisfazione: “Siamo profondamente soddisfatti del risultato ottenuto in poco più di due anni, in piena pandemia. Il ricorso introduttivo era stato depositato infatti al Tribunale della Spezia appena il 15 Gennaio 2020 e la sentenza è arrivata il 3 Giugno 2022. E però c’è ancora molto da fare per chi ha lavorato, esposto ad amianto, essendo, come sappiamo, previsto il picco delle patologie asbesto-correlate proprio in questi anni”.