Impignorabilità delle somme vincolate dai Comuni ex art. 159 T.U.E.L., regime probatorio

Impignorabilità delle somme vincolate dai Comuni ex art. 159 T.U.E.L., regime probatorio

ESECUZIONE FORZATA
Cass. Civ. Sez. III, Sentenza n. 4820 del 26.03.2012
Fatto – Diritto – P.Q.M.

La Società L.M. intentò un’espropriazione di crediti nei confronti del debitore Comune di Napoli e, in qualità di terzo pignorato, del suo tesoriere SanPaolo – Banco di Napoli; non comparso il debitore, il terzo dichiarò che, a fronte di un saldo creditore del Comune per Euro 201.296.633,41, in virtù di delibere nn. 3432 del 29.6.06 e 5468 del di 11.12.06 (pure allegate alla dichiarazione) erano state quantificate in Euro 934.982.597,43 le somme impignorabili ai sensi del D.Lgs. n. 267/2000, per il primo semestre 2007, siccome destinate al pagamento delle retribuzioni del personale dipendente, delle rate dei mutui in scadenza nel semestre, come pure all’espletamento dei servizi pubblici indispensabili; sicchè, in dipendenza dei mandati di pagamento disposti, le somme residuali comunque impignorabili, pari ad Euro 918.370.887,41, superavano il saldo residuale;

A seguito di tale dichiarazione e pure nell’assenza del debitore pignorato, di ufficio il Giudice dell’esecuzione dichiarò – con ordinanza del 26.3.07 improcedibile l’esecuzione, ai sensi dell’art. 159 D.Lgs. 267/00; ma il procedente impugnò con opposizione agli atti esecutivi tale ordinanza, chiedendone la revoca, previa l’emanazione dei provvedimenti ai sensi dell’art. 618 c.p.c.. Nella contumacia delle altre parti, il Tribunale respinse tutte le doglianze dell’opponente con sentenza n. 10089/09, pubblicata il 09.09.09, in applicazione e pieno recepimento della motivazione di Cass. 16 settembre 2008, n. 23727 (OMISSIS);

Per la cassazione di tale sentenza ha presentato ricorso la Società L.M., affidandosi a trentadue motivi, cui resiste con controricorso il solo Comune di Napoli; e, rimessa dapprima alla sesta sezione relazione con proposta di reiezione e – a seguito delle memorie delle parti e della discussione all’adunanza del 14.4.11 – disposta quindi la rimessione alla pubblica udienza del 16.2.12 a quest’ultima le parti,  discutono oralmente la causa.

Motivi della decisione

La ricorrente, preliminarmente invocando la rimessione delle questioni alle Sezioni Unite e sostenendo l’ammissibilità di tutte le doglianze, impugna la gravata sentenza con trentadue motivi – molti dei quali conclusi da quesiti di diritto (OMISSIS);
Il Comune di Napoli, dopo avere eccepito l’inammissibilità delle censure alla gravata sentenza in ordine agli esclusi profili di legittimità costituzionale, contesta sommariamente tutti tali motivi, sottolineando come controparte sostanzialmente impugni la motivazione dalla richiamata Cass. n. 23727 del 2008, resa in causa del tutto analoga.

Tutto ciò posto in ordine alla delimitazione dei temi controversi, va preliminarmente rilevato che alla presente controversia non si applica l’art. 366 bis c.p.c.; ed infatti:
tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, art. 6, e resta applicabile – in virtù dell’art. 27, comma 2, del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009 n. 69 art. 47, comma 1, lett. D), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima;

la qui gravata sentenza è invece stata pubblicata in data 9.09.09 e, quindi, successivamente all’abrogazione della richiamata norma, con la conseguenza che i quesiti non erano necessari.
Tutto ciò posto, va precisato che il precedente di Cass. 31 agosto 2011, n. 17873, reso su altra controversia originata dallo stesso titolo (ma nella quale creditore opponente era il difensore distrattario della parte odierna ricorrente), è pervenuto alla conclusione del rigetto del ricorso per buona parte dei venticinque motivi in quella sede formulati, ma sostanzialmente per ragioni attinenti al rito, essendo il ricorso medesimo soggetto alla disciplina dell’art. 366 bis c.p.c.; infatti, la data di pubblicazione del provvedimento in quella sede impugnato era precedente rispetto alla sentenza oggetto dell’odierno ricorso e comunque anteriore alla data di operatività concreta dell’abrogazione del detto art. 366 bis c.p.c. (norma introdotta dal D. Lgs. N. 40 del 02 febbraio 2006, art. 6, in origine applicabile – in virtù del comma secondo dell’art. 27 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006): tale abrogazione, disposta dalla L. n. 69/2009, art. 47, comma 1, lett. D), ha effetto quanto ai provvedimenti pubblicati dopo la data di entrata in vigore di quest’ultima legge (4 luglio 2009), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima, sicchè alla presente controversia, relativa ad una sentenza pubblicata il 9.09.09, la normativa previgente non può applicarsi. Tanto consente di valutare anche le questioni dichiarate inammissibili, nel richiamato ultimo precedente, per vizio di formulazione dei quesiti, nonchè, beninteso, di valutare eventuali elementi nuovi in rito o in merito prospettati rispetto al ricorso deciso con detto precedente.

La complessa vicenda attiene all’espropriazione di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni (od enti pubblici non economici), come regolata dal D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, art. 159, a mente del quale:
“Art. 159 – Norme sulle esecuzioni nei confronti degli enti locali.
1. Non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa.
2. Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a:
a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi;
b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso;
e) espletamento dei servizi locali indispensabili.

3. Per l’operatività dei limiti all’esecuzione forzata di cui al comma 2 occorre che l’organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli importi delle somme destinate alle suddette finalità. 4. Le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme nè limitazioni all’attività del tesoriere (OMISSIS).
La stessa norma è stata poi dichiarata incostituzionale, quanto ai commi secondo, terzo e quarto, con sentenza 4 – 18 giugno 2003, n. 211 (in G.U. la s.s. 25/6/2003, n. 25) della Corte costituzionale, “nella parte in cui non prevede che l’impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lett. a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso”. 10. La norma è stata poi interpretata da questa Corte (Cass. 16 settembre 2008, n. 23727, espressamente richiamata e condivisa in massima parte anche dalle successive Cass. 27 maggio 2009, n. 12259 e Cass. 31 agosto 2011, n. 17873) nel senso che:

a) nel regime dell’espropriazione forzata di somme giacenti i presso il tesoriere – quale risulta dal D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 art. 159, e dalla sentenza della Corte costituzionale 18 giugno 2003 n. 211 – è dovere del tesoriere, in quanto ausiliare del giudice, dichiarare sia se esistono presso di lui somme di cui è debitore verso l’ente locale sia quale ne è la condizione in rapporto alla delibera comunale di destinazione a lui notificata ed ai pagamenti successivi;
b) spetta al giudice dell’esecuzione, anche di ufficio e perciò in caso di assenza dell’ente locale debitore, accertare, in base alla documentazione depositata ed alle osservazioni fatte dal creditore procedente, se il pignoramento sia nullo per essere caduto su somme vincolate in base alla delibera, notificata al tesoriere, che non abbia perso efficacia per essere stata seguita da pagamenti per debiti estranei, su mandati non emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico;
c) nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi promosso contro l’ordinanza di nullità dal creditore procedente, il quale sostenga essere il vincolo di destinazione divenuto inefficace, spetta all’opponente allegare gli specifici pagamenti per debiti estranei eseguiti successivamente alla delibera, mentre spetta all’ente locale dare la prova che tali pagamenti sono stati eseguiti in base a mandati emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico;
d) poichè la tutela costituzionale del diritto di difesa non impone il doppio grado di merito ed è anzi fenomeno normale dell’esecuzione forzata, quello per cui, le volte che l’impedimento al corso ulteriore del processo esecutivo è soggetto a rilievo di ufficio, il sindacato sulla legittimità della ordinanza del giudice dell’esecuzione sia attuato nelle forme dell’opposizione agli atti:
– sicchè il binomio rilievo di ufficio – opposizione agli atti esecutivi non comprime il diritto di difesa del creditore, munito di titolo esecutivo, che ha inteso sottoporre a pignoramento disponibilità dell’ente locale, giacenti presso il tesoriere.
Le diverse doglianze della ricorrente vanno necessariamente raggruppate per l’oggetto:
Il primo gruppo di doglianze va immediatamente dichiarato inammissibile.
Quanto al secondo gruppo di doglianze:
– come da terzo motivo: il D. Lgs. N. 267 del 2000, art. 159, comma 2, nel prevedere l’impignorabilità delle somme di denaro, la sua rilevabilità di ufficio e l’inidoneità del pignoramento a generare il vincolo, imporrebbe una regola di inammissibilità dell’esecuzione presso terzi, in danno di un Comune;
– come da sesto motivo: il D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, commi 2, 3 e 4, sancirebbe la rilevabilità di ufficio dell’impignorabilità, riguardo a Comuni e Province, in violazione dell’art. 3 Cost., atteso che analoga rilevabilità di ufficio non è prevista per altri Enti pubblici ed in particolare per le AA.SS.LL.;
– come da nono motivo: il D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, ove prevede la rilevabilità di ufficio dell’impignorabilità, da parte del g.e., comprimerebbe il diritto di difesa in difetto: a) di un’istruttoria (tipica della sola cognizione piena) invece necessaria per il riscontro delle condizioni su cui deve fondarsi il rilievo; b) dell’attitudine del processo esecutivo a condurre ad un giudicato;
– come da decimo motivo: l’art 546 c.p.c., non sarebbe applicabile all’esecuzione in danno di un Comune e presso il Tesoriere (in relazione all’onere di questi, affermato da Cass. 23727/08, di dichiarare ogni fatto rilevante ai fini dell’accertamento della pignorabilità) e, conseguentemente, non sarebbe conforme al parametro costituzionale ex art. 3 Cost.; viceversa, l’art. 546 c.p.c., in quanto applicabile anche all’esecuzione presso il tesoriere di un Comune, precludendo al terzo di poter assolvere al sopra citato onere, sarebbe incostituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;
– come da undicesimo motivo: il D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, laddove prevede un’istruttoria sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione, destinata a realizzarsi attraverso l’allegazione e la produzione, da parte di entrambi i contendenti, di fatti e documenti di provenienza e formati, però, da uno solo di essi (da parte dell’Ente, attraverso la produzione delle delibere ex art. 159; da parte del creditore, mediante l’allegazione di fatti e la produzione di documenti relativi a pagamenti effettuati dall’Ente), contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 Cost.;
– come da dodicesimo motivo: nel procedimento ex art. 543 c.p.c. e ss., anche alla luce del disposto di cui al D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, il terzo, benchè tesoriere di un ente locale, è tenuto solo alla dichiarazione di quantità, giacchè, ove diversamente onerato, la norma risulterebbe sospetta di incostituzionalità, ex art. 3 Cost.;
– come da tredicesimo motivo: in caso di dichiarazione del terzo non appagante in termini di qualità (e, cioè, quanto questa non soddisfa l’onere dell’allegazione dei fatti rilevanti ai fini dell’accertamento dell’impignorabilità), il G.E. deve assegnare le somme; che, nell’evenienza fatta, non si può dar luogo al giudizio ex art. 548 c.p.c., nè ad altri giudizi in danno del terzo; che, per l’effetto, è fondato il sospetto di incostituzionalità del D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, per contrasto con l’art. 24 Cost.;
– come da trentesimo motivo: la normativa del D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, sostanzialmente introdurrebbe il principio dell’inammissibilità dell’azione esecutiva presso terzi in danno di un ente locale; (come da trentunesimo motivo) la normativa suddetta discrimina le parti in relazione al riparto dell’onere della prova delle rispettive posizioni; (come da trentaduesimo motivo) la normativa in esame viola la direttiva n. 00/35/CE del 29.6.2000 della Comunità Economica Europea, come recepita con D. Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, perchè in sostanza ritarda il soddisfo di un credito oltretutto consacrato in un titolo giurisdizionale.
Il Procuratore Generale chiede poi di sollevare questione di legittimità costituzionale del richiamato D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, commi 2, 3 e 4;

–  in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, indicando quali norme interposte (ai sensi delle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale) la disciplina desunta dall’interpretazione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (tra le altre: sentenza della Grande Charnbre del 28.7.99 in causa 22774/99; sentenza Yanakiev contro Bulgaria del 2.7.09; sentenza Gaglione ed a. contro Italia del 21.12.10; sentenza Ventorino contro Italia del 17.5.11) degli artt. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali ed 1 del protocollo n. 1 a detta Convenzione, in base alla quale: a) l’esecuzione di un provvedimento giudiziale è parte integrante del processo e sarebbe illusoria la tutela del diritto ove si consentisse che quello restasse inoperante; b) a maggior ragione, sono violate le garanzie dell’art. 6 della Convenzione in caso di omissione o ritardo di esecuzione; c) è inopportuno costringere chi è in giudizio stato riconosciuto creditore dello Stato ad attivare una procedura di esecuzione forzata per ottenere il soddisfacimento del suo credito; d) non è valida giustificazione per l’inadempimento di un debito riconosciuto in una decisione di giustizia nei confronti di una pubblica autorità l’addotta mancanza di risorse sufficienti;
– in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui la norma, come dal diritto vivente interpretata, costringe il creditore di un ente locale, al fine di superare l’impignorabilità delle somme esistenti presso la tesoreria dell’ente e la conseguente dichiarazione di nullità, anche ex officio, del pignoramento, ad agire con opposizione agli atti esecutivi, obbligandolo ad un’attività difensiva ulteriore al fine di conseguire il concreto pagamento di un proprio credito, già certo, liquido ed esigibile e fondato, come nella specie, su titolo esecutivo giudiziale conseguito nel 1994;
– a ben guardare, la stessa Corte Europea ha, del resto, sottolineato – sia pure al diverso fine di valutare la ragionevole durata del processo – l’essenzialità di una considerazione unitaria della tutela giudiziale del diritto, ai fini dell’effettività della garanzia di un processo giusto, nel momento della cognizione ed in quello dell’esecuzione, mettendo in chiara luce che l’esecuzione è la seconda fase della procedura di merito e che il diritto rivendicato non trova la sua realizzazione effettiva che al momento dell’esecuzione” (Corte Eur. Dir. Uomo, sez. 5, 12 marzo 2009, in causa n. 39874/05, Voskoboynyk c/ Ucraina; Corte Eur. Dir. Uomo, 27 novembre 2008, in causa n. 30922/05, Stadnyuk c/ Ucraina; Corte Eur. Dir. Uomo, sez. 5, 29 marzo 2007, in causa n. 18368/03, Pobegaylo c/ Ucraina);
– eppure, ove l’interpretazione complessiva della disciplina data dal D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, consentisse di valutare come funzionale ad un equilibrato contemperamento dei diversi interessi in gioco l’imposizione di una attività difensiva ulteriore al creditore di enti territoriali rispetto a qualunque altra esecuzione (nei confronti, cioè, di soggetti che non rivestano la specifica qualità di ente territoriale), le censure di illegittimità costituzionale potrebbero ritenersi manifestamente infondate: interessi in gioco che consistono, da un lato, nel diritto del creditore a conseguire anche coattivamente il suo credito (soprattutto allorquando già consacrato in un titolo giudiziale) e, dall’altro, nelle esigenze di un corrente e corretto – anche sotto il profilo della parità di trattamento dei creditori e quindi mediante il rispetto dell’ordine cronologico dei pagamenti – espletamento di servizi pubblici essenziali per la collettività servita dall’ente pubblico territoriale.
A tal fine, una mera posposizione della tutela assicurata con un processo a cognizione piena sulle contrapposte ragioni è manifestamente in grado di operare tale contemperamento, ove i poteri assertivi ed istruttori del creditore siano ampi e gli oneri del debitore, a compensazione del privilegio processuale già accordatogli, siano chiari e correttamente individuati; ed al risultato di una posposizione della tutela si può giungere, a ben vedere, già sulla base del “binomio rilievo di ufficio – opposizione agli atti esecutivi” eretto a fondamento della disciplina dalla richiamata Cass. 23727 del 2008:
– l’impignorabilità relativa è istituto già presente nell’ordinamento, a tutela di determinati beni in ragione della loro destinazione a particolari attività ritenute degne di considerazione prevalente rispetto a quella del solo diritto di credito, benchè accertato giudizialmente: pertanto, l’introduzione di tale impignorabilità relativa, subordinato a particolari regole processuali, non determina in sè l’inammissibilità dell’espropriazione presso terzi, essendo la prima anzi finalizzata alla necessaria tutela del patrimonio pubblico ed alla sua effettiva destinazione alle esigenze pubblicistiche la cui cura è affidata alla;
– l’impignorabilità, quando è prevista per ragioni di pubblico interesse e cioè a tutela di un interesse pubblicistico, è sempre rilevabile di ufficio (Cass. 11 giugno 1999, n. 5761; Cass. 22 marzo 2011, n. 6548), così togliendosi rilievo alla mancata espressa previsione addotta quale tertium comparationis – di tale ufficiosa rilevabilità, formulata invece per altre categorie di enti pubblici;
– già l’impostazione di Cass. 23727 del 2008 è incentrata su di una progressione dell’ambito della cognizione su questioni anche coinvolgenti diritti, tutt’altro che ignota nel processo civile (si pensi ai procedimenti per decreto ingiuntivo o comunque a tutti quelli per fasi dapprima sommarie e poi ordinarie) e basata sull’opportunità di subprocedimenti inizialmente deformalizzati ma ad ampio contenuto sostanzialmente cognitivo, con eventualizzazione di fasi a cognizione piena per iniziativa dei soggetti che non si reputino soddisfatti della tutela fino a quel momento ricevuta;
– nel processo esecutivo, è espressione di analoga tendenza la sommarizzazione della fase della distribuzione, introdotta con la riforma del 2006, nella quale il giudice dell’esecuzione dapprima risolve, con poteri in gran parte simili a quelli di un ordinario giudizio di cognizione ma del tutto privo di formalità, le questioni relative e poi alle parti, che siano rimaste insoddisfatte dall’esito di tale agile attività di giudizio, è dato l’ordinaria tutela cognitiva attraverso la possibilità di impugnare la relativa ordinanza con l’opposizione agli atti esecutivi;
– la stessa articolazione in due fasi è oltretutto compensata, fin dalla prima di essi e quindi fin da quella dinanzi al giudice dell’esecuzione, dalla previsione di un’autentica inversione dell’onere della prova e dell’accollo di questa al debitore, a fronte soltanto di una almeno analitica allegazione del creditore; mentre deriva da principi generali del processo che, anche nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, piena e completa deve ritenersi ogni facoltà assertiva ed istruttoria delle parti finalizzata alla peculiarità dell’oggetto della controversia;
– resta priva di rilievo la doglianza sulla mancata applicazione integrale dell’art. 546 c.p.c., alla fattispecie del pignoramento di denaro di enti territoriali.
I motivi del terzo gruppo sono inammissibili o infondati (OMISSIS):
Sono invece fondati tutti i motivi del quarto gruppo, eccetto il ventisettesimo (e quindi ì motivi ventesimo, ventunesimo, ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo, venticinquesimo e ventiseiesimo), i quali possono essere unitariamente considerati:
– una volta ricordato che la qui pienamente condivisa impostazione di Cass. 23727 del 2008 comporta l’inversione dell’onere della prova sulla sussistenza dei presupposti per l’operatività dell’impignorabilità, va rilevato che la creditrice ha assolto ogni onere su di essa incombente con la mera adduzione, evidentemente non pretestuosa nè generica, di numerose circostanze di fatto, analiticamente elencate anche nel ricorso (ed in ossequio al principio della sua autosufficienza), dalle quali desumere il sospetto di quell’inoperatività;
– la circostanza che la creditrice abbia in concreto offerto di provare, con prove documentali ed orali, analoghe circostanze, di certo non elide il corrispondente onere del Comune: il quale non può essere assolto mediante una mera certificazione di uno dei suoi uffici od organi, operando anche quanto alla pubblica amministrazione il principio generale del processo civile, per il quale di regola – e tranne specifiche eccezioni previste dalla legge, che in questo frangente non si rinvengono – nessuno può formare prove a proprio favore;
– nè si riscontra una genericità tale delle capitolazioni delle prove orali od altre condizioni dei documenti addotti da escludere in via diretta ed immediata ogni loro riferibilità a fatti impeditivi dell’impignorabilità, soprattutto perchè, come si ripete, onerato della prova positiva della insussistenza di quelli, una volta non pretestuosamente dedotti, era il Comune debitore e non il creditore;
– ancora, dinanzi ai sospetti di inoperatività dell’impignorabilità, ben poteva darsi il caso di una consulenza tecnica di ufficio percipiente, essendo evidente l’inaccessibilità, da parte del singolo creditore, alla complessa contabilità di un ente complesso come il Comune (e, per le sue titaniche dimensioni, come quello di Napoli) e quindi la sua impossibilità di provare altrimenti le circostanze dedotte, a prescindere da chi poi ne avesse in concreto l’onere: e salvo solo il principio della necessaria anticipazione dei costi degli atti processuali in corso di causar con valutazione peraltro rimessa al giudice istruttore della stessa ed impregiudicata la finale regolamentazione del carico delle spese di lite;
– è inammissibile ed infondato invece il ventisettesimo, perchè non è specificato dove è sviluppata la contestazione negli esatti termini riproposti e lamentati come non esaminati specificamente, visto che si indica (a pag. 74 del ricorso) solo dove i fatti sarebbero stati dedotti; e poi perchè, nella contumacia di entrambi gli opposti (quale si ricava dalla sentenza oggi gravata), nessun fatto potrebbe tecnicamente darsi come pacifico per non contestazione, come pretende di fare il ricorrente.
Ne consegue che malamente sono stati applicati, in danno del creditore opponente, i criteri elaborati da questa Corte in tema di contestazione dei presupposti per l’applicazione del D. Lgs. N. 267 del 2000 art. 159, e, pertanto, in accoglimento dei motivi ventesimo, ventunesimo, ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo, venticinquesimo e ventiseiesimo, il ricorso va accolto, con cassazione della gravata sentenza e rinvio al medesimo tribunale di Napoli, in persona di diverso giudicante, il quale istruirà l’opposizione attenendosi ai principi di cui ai precedenti punti 16.1. a 16.4. e provvederà pure sulle spese del presente giudizio di legittimità in rapporto all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi ventesimo, ventunesimo, ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo, venticinquesimo e ventiseiesimo, disattesi o rigettati gli altri; per l’effetto, cassa la gravata sentenza e rinvia al tribunale di Napoli, in persona di diverso giudicante, anche per le spese del giudizio di legittimità.

 

 

 

 

2022-09-22T12:29:12+02:0027 Aprile 2012|Sentenze|